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Frambo
Intervista al cantautore / rapper Frambo!

“Mi piace molto WeAre come realtà, cioè, fighissimo. Daje, volentierissimo.”
Complimenti reciproci: partiamo subito molto bene con Frambo, al secolo (questo: la classe è 2002) Riccardo Framboas.

Grazie! Domanda di rito: cosa vuoi dirci su di te e sul rapporto con Arezzo?
F: «Io sono nato qui, e mi ci trovo bene. Molti miei coetanei fuggono, ma io sono una persona che ama avere le sue abitudini, quindi Arezzo per me è perfetta, almeno adesso. Poi qui la realtà cambia da un sottopasso all’altro, da una piazza all’altra; io sono una creatura di Sant’Agostino, ormai ho la residenza là.»

Frambo pubblica musica (con l’etichetta spezzina La Clinica Dischi) da quando aveva 18 anni: ha all’attivo due EP (“Routine” e “Touché”) e vari singoli, tra cui il primo, “Guerra”, si è piazzato per alcune settimane nella playlist Viral 50: Italia di Spotify.

F: «Ho capito che volevo fare musica sul serio in seconda o in terza superiore, prima facevo delle robe stupide al computer con degli amici… Video-parodie che mettevo online. Ora sono tutti eliminati o privati, fortunatamente. Un disastro, sennò… (ride – NdA)»

In un’intervista di un paio di anni fa, dici di essere una persona che ha “voglia di buttare tutto fuori, cercando di fare più casino possibile.” È ancora così?
F: «Il mio modo di affrontare la musica è cambiato radicalmente. Certo, mi piace parlare di me, come penso a tutti gli artisti, ma non so se direi ancora “fare più casino possibile”: sono passati solo due anni, ma sembrano trenta. Forse sono più sereno. Quando avevo 18 anni c’era quella foga, quel dirsi: “oddio, ce la devo fare per forza entro i 20 anni…”. In realtà piano piano ho capito che la cosa va presa con più calma.»

Prima dei 20 anni: ma davvero c’è questa idea?

F: «Sì, c’è una fortissima pressione sociale su questo. Il mio primo singolo è andato discretamente bene, e poi immagina, da lì, vedere il secondo che non stava facendo altrettanto. Ti dici: “oddio, devo muovermi, che sto facendo?” Quindi io l’ho sentita davvero moltissimo, anche su altri miei coetanei a cui piace scrivere, fare musica o arte. Un discorso che si applica anche all’università: se non ti laurei in 3 anni allora sei un po’ un fallito, no? C’è questa narrazione, che viene spesso negata, ma secondo me si sente nell’aria. Soprattutto ultimamente, con il fenomeno dell’artista giovanissimo che ce la fa e diventa un successo nazionale. Poi uno si rende conto e dice: “no, okay, smetti di compararti agli altri, tu sei diverso dagli altri quindi fai le tue cose col tuo tempo”.»

Sin dalle tue prime canzoni parli d’amore, rivolgendoti spesso a un “tu”. Vuoi davvero parlare a qualcun altro, o piuttosto a te stesso?
F: «Anche nella stessa canzone mi piace fare dei ritagli di più situazioni e persone. Però può essere che sia tutto uno scherzone e inconsciamente mi ci ficchi dentro (ride – NdA). Sicuramente alcune cose che volevo dire le ho messe nelle mie canzoni, magari riferendomi a qualcun altro, esagerando anche determinati tratti, ma in fondo la voglia è ancora quella di parlare delle mie cose, più che di quelle di un’altra persona. Adesso c’è più consapevolezza di quello che sto scrivendo: mi piace pesare di più le parole e fare attenzione ai dettagli, alle cose che succedono intorno. Poi quando uno esce dalle superiori c’è questo impatto della vita che ti si presenta alla porta: “che fai, lavori? Che fai, studi?”. Entrano in gioco temi più delicati. E mi piace ora scrivere di questo, capire i miei processi.»

Ho perso il conto del numero di playlist in cui compari su Spotify che combinano le parole “indie” e “triste”. Ma tu ti riconosci in questa definizione?
F: «La risposta vera è la più totale e completa confusione a riguardo (ride – NdA). Sicuramente ho fatto dei pezzi indie, però non so se mi piace; è quello che dicono un po’ tutti gli artisti: non mi piacciono le etichette. Poi dire che faccio musica triste, beh, può essere, sì. Ma non mi sto ponendo troppo il problema.»

L’anno scorso, più o meno in questo periodo, sei stato uno degli artisti che hanno partecipato a “Un Consiglio Musicale” (ciclo di concerti acustici organizzati dalla Presidenza del Consiglio Comunale in collaborazione con Arezzo Che Spacca – NdA). Com’è stato?
F: «Io ho suonato con Alberto Nepi che fa parte della band MAESTRO, sempre composta da aretini. Abbiamo fatto una scaletta scelta in totale autonomia, in gran parte con pezzi miei ma anche con alcune cover: Gorillaz, Venerus. La location ovviamente è bellissima, e il pubblico è stato molto vario: c’era più gente di quanto mi aspettassi, da familiari e amici alla mia prof del liceo, una cosa stranissima (ride – NdA). È stata una serata davvero bella, intima e calorosa.»

Il 2023 è stato inaugurato dalla collaborazione con il cantautore tarquiniese Scicchi (mi raccomando: si legge così, come si scrive, non fatevi venire strane idee).
F: «Dovevo fare un concerto e si presenta ‘sto Scicchi, che io non conoscevo, anche se lui mi conferma che gli avevo scritto prima di incontrarlo (ride – NdA). Abbiamo legato subito, perché abbiamo età, interessi, e stranamente anche trascorsi simili. Abbiamo fatto un pezzo per il suo EP e ci siamo trovati benissimo, umanamente e artisticamente. E sento di essere cresciuto tantissimo. Lui è molto più costante, tira fuori un miliardo di idee e io, che magari sono da due giorni nel letto a fare la muffa, va a finire che dico: “okay, adesso mi alzo e facciamo ‘sta cosa”. Quindi alla grande, viva Scicchi.»

In che direzione andrà questo progetto?
F: «Venendo da città diverse, è anche un incrocio di realtà interessantissimo, ed è stato molto figo parlare di noi. Il disco che uscirà (che conterrà i brani rilasciati finora e alcuni inediti – NdA) parlerà di due ragazzini che cercano di fare musica in un’industria musicale velocissima. Entrambi abbiamo attraversato un periodaccio di recente, quindi abbiamo mescolato un po’ di questi pensieri e sensazioni negative, riassumibili con il primo pezzo che è uscito, “Cerotti”, che parla di questa velocità, questa pressione. Fondamentalmente, siamo due persone che si sentono abbastanza a disagio in generale, e vorremmo scrivere di questo, più che delle nostre relazioni terminate.»

di VIVIANA RIZZETTO

Foto per gentile concessione de La Clinica Dischi

Ig: whosframbo
Spotify: Frambo

Viviana Rizzetto
VIVIANA RIZZETTO

La valigia è diventata fondamentale da quand’ero bambina, così la mente l’ha seguita. Teinomane, nictofila, multitasker; un po’ nerd. La laurea in lettere l’ho presa perché credo che la letteratura e la scrittura siano le cose più fighe che l’umanità abbia inventato.

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