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La storia di O.
Dietro l’obbiettivo con la fotografa Cheyenne Mariotti
Il suo progetto O. è stato esposto al Castiglion Fiorentino Photo Fest, all’interno della mostra La fotografia è donna, diretta da Antonio Manta

Non riesco a pensare a Cheyenne Mariotti senza la sua macchina fotografica. Il giorno in cui l’ho conosciuta stava scattando ad un evento al quale partecipavo da spettatrice. Mi incuriosì subito: gli occhi cangianti e il mezzo sorriso sarcastico. Sulla spalla, la fedele Nikon. Mi spiegò come l’aveva scelta, come funzionava, perché le piaceva. Io, che non ne avevo mai usata una seria, l’ascoltavo rapita. La macchina stava appoggiata sul tavolo di fronte a lei, quasi fosse un prolungamento del suo braccio. Ci metteva l’occhio dentro e il mondo diventava come voleva lei, aveva i suoi colori e un significato nuovo. Era quasi una magia. Oggi, che posso chiamarla amica, mi fa quasi strano raccontare la Cheyenne Mariotti professionista, cercando di sottrarre quel lato più intimo che ci lega.
Senza quella sera e quella curiosità verso un oggetto che lei utilizzava per raccontare e raccontarsi, non sarei qui a scrivere questa storia.

La Cheyenne fotografa nasce alcuni fa, nel tempo delle macchine a rullino. Rubava quella del suo papà e scattava a qualunque cosa la ispirasse. “Per lo più, uscivano fuori foto nere!”, mi racconta.
Crescendo, inizia a fotografare con qualsiasi cosa le capiti sottomano: telefono, macchina digitale e, infine, una reflex.
Non pensava di avere la stoffa della fotografa ma, per fortuna, come si suol dire, Dio vede e provvede. E Dio, in questo caso, è mamma Patrizia, che le ha regalato un corso professionale di fotografia. Ha continuato poi facendo vari workshop e corsi di aggiornamento, specializzandosi sempre più sul ritratto.

Amo fotografare le persone. Mi affascina l’essere umano, con la sua psiche e il suo trascorso. Ciò che voglio trasmettere è l’emozione che sento in quel momento in relazione a quel soggetto. Non posso fare a meno di contaminare lo scatto con quello che sento, c’è tanto di me, della mia giornata e del mio stato d’animo nelle mie foto.
I modelli a cui si ispira sono fotografi che hanno sempre preferito soggetti umani, come Vivian Meyer e Steve McCurry, ma l’ispirazione, come mi racconta, arriva dall’arte in generale.
Amo la pittura di Caravaggio e di Frida Kahlo, anche se l’ispirazione spesso arriva anche da prodotti artistici differenti tra loro, come ad esempio l’opera: Rigoletto, nello specifico, per citarne una, oppure un concerto.
La passione per la ritrattistica e per il racconto degli esseri umani l’ha portata alla costruzione di progetti più complessi, come O., il quale è stato esposto quest’anno al Castiglion Fiorentino Photo Fest, all’interno della mostra La fotografia è donna, diretta da Antonio Manta.

Il giorno in cui mi ha parlato di O. le brillavano gli occhi. Non esisteva se non proprio dentro a quelle iridi. Cercò di mostrarmelo a parole, per farmi vedere quello che vedeva lei, quando guardava ciò che per me non esisteva ancora.
O. inizialmente è nato all’interno dell’associazione Arkadia Collective Lab, per un’iniziativa sulla violenza di genere. Si è trasformato e si è evoluto fino a diventare quello che è oggi.
O. parla di violenza, di ribellione e di libertà. È un percorso che parte dal basso, dalla palude della sofferenza, per sbocciare come un fiore negli ultimi scatti. O. se ne va, con i suoi scarponcini impolverati e un filo rosso che le pende dal polso, sempre più leggero man mano che lei diventa più forte e ha finalmente la forza di andare via. Non scappa più, cammina verso l’ignoto, verso ciò che l’aspetta dall’altra parte della paura.
Il progetto è stato selezionato fra migliaia di altri progetti di importanti fotografe da tutta Italia. È così che è arrivato alla chiesa del Cassero a Castiglion Fiorentino e, finalmente, fra le braccia del pubblico.
O. è ispirato ad Ofelia, il personaggio di Amleto, ma è anche l’iniziale del mio fiore preferito: l’orchidea, che è presente nel progetto. O. è un po’ la mia orchidea: è un fiore anarchico, a cui occorre stare molto dietro; vuole cure e attenzioni ma è sempre lei a decidere quando si sente pronta a fiorire, un po’ come O., alla quale occorre tempo per sentirsi finalmente libera. È una rinascita e una denuncia, per tutte quelle donne che non hanno potuto raccontare la propria storia.

Speriamo che questo possa essere solo uno dei tanti traguardi che raggiungerà la nostra Cheyenne, armata sempre della sua macchina fotografica e della sua infinita passione.

di MARTINA SALVINI

Credits Cheyenne Mariotti

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