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WEARE #27: Bianco Natale
Chi l’ha mai capito, poi, se a Natale siamo tutti più buoni o tutti più egoisti? A me - non so perché - sembra sempre tutto più triste: sarà che, nel mio immaginario, le luci per le strade mal si sposano coi clochard stesi a riposare sui cartoni. L’autocritica che ne deriva, indirizzata al nostro modello di vita sicuro e agiato, porta con sé un carico di malinconia difficile da incartare dentro uno stato di quiete apparente. E forse - penso - questi brividi che sento non sono tutti di freddo.

Apriamo il tradizionale n. #27 di Natale con una piccola inversione narrativa: solitamente in questo periodo vi parliamo dello scintillio delle luci colorate; stavolta, invece, ci concentreremo sulla suggestione delle ombre. Che detta così è un po’ criptica, lo sappiamo. Continuate a leggere, e capirete.

I lettori più attenti avranno colto nel titolo la reference a uno degli episodi più iconici della serie “Black Mirror”. Chi non conoscesse la trama, è presto servito (attenzione, spoiler!): Matt e Joe vivono da anni in una casa sperduta nel nulla; tuttavia, nessuno dei due ha mai detto all’altro perché si trovi lì. Proprio nel giorno di Natale, questi iniziano a condividere reciprocamente le loro storie, rivelando di essersi macchiati di orrendi crimini. Alla fine si renderanno conto di trovarsi all’interno di una sorta di realtà parallela, rappresentata dalla palla di vetro usata da Joe come arma per compiere un omicidio. Tanto triste quanto ironico, no?

“Bianco Natale” è l’allegoria perfetta di una pluralità di temi che infestano il nostro presente: il conflitto tra “intelligenza artificiale e stupidità umana”, l’endemia della mascolinità tossica, il cortocircuito dell’ordine costituito e lo spionaggio quotidiano in salsa Big Brother. Noi, di certo, non vogliamo diventare come Matt e Joe. Ma come fare, in questa attuale realtà tanto aumentata quanto diminuita, a scongiurare un simile esito?

Difficile a dirsi. Chi l’ha mai capito, poi, se a Natale siamo tutti più buoni o tutti più egoisti? A me – non so perché – sembra sempre tutto più triste: sarà che, nel mio immaginario, le luci per le strade mal si sposano coi clochard stesi a riposare sui cartoni. L’autocritica che ne deriva, indirizzata al nostro modello di vita sicuro e agiato, porta con sé un carico di malinconia difficile da incartare dentro uno stato di quiete apparente. E forse – penso – questi brividi che sento non sono tutti di freddo.

Così, tentare di essere migliori diventa nostra responsabilità. Una ricetta perfetta, replicabile anche a casa, è quella fatta di tempo, attenzioni, cure reciproche, da poter regalare a sé stessi e agli altri. Potete cucinarla a coloro che vi stanno vicino, quelli a cui già volete bene. Ma la versione rivisitata di questo “piatto”, leggermente più complessa, prevede che vi spingiate anche un po’ più in là. A umanizzare ed empatizzare anche con chi vi è sconosciuto: dopotutto, anche lui probabilmente è il “qualcuno” di qualcun altro.

Chiudiamo citando Giordano Bruno, che parlava di un universo infinito, fatto di infiniti mondi (che avesse già pre-teorizzato la realtà parallela?), da un Dio infinito da cui derivasse un amore infinito. Il fatto che sia stato bruciato sul rogo aumenta le probabilità che potesse effettivamente avere ragione. Chissà. Forse è vero che c’è un Dio in tutte le cose, fatto di tolleranza, empatia, rispetto, altruismo, gentilezza… Oppure no. Nel dubbio, questo Natale, vale quantomeno la pena provare a cercarlo.

editoriale di GEMMA BUI

Ascolto Consigliato alla lettura dell’editoriale: “I Wish It Could Be Christmas Everyday” di Wizzard

(Nel nostro magazine utilizziamo il maschile generico in luogo di *, schwa e omologhi, al fine di dare una maggiore scorrevolezza al testo. Crediamo comunque in un linguaggio inclusivo che utilizzi questi simboli.)

Gemma Bui
GEMMA BUI

Studentessa, musicista, cultrice dell’Arte variamente declinata. Con la scrittura, cerco di colmare la mia timidezza dialogica. Nelle parole incarno la sintesi – e non la semplificazione – della realtà. Credo nella conoscenza come mezzo per l’affermazione di sè e come chiave di lettura dell’esistere umano.

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