Scroll Top
Agroecologia
Intervista all'aretina Charlotte Bistoni, agronoma specializzata in sviluppo rurale sostenibile ed esperta di agricoltura familiare

L’agricoltura è sempre stata alla base della sopravvivenza del genere umano sulla Terra e tutt’ora ricopre un’importanza primaria per il fabbisogno alimentare della nostra specie; lo studio e le dinamiche sostenibili con cui si applica sono in costante evoluzione. Per l’occasione abbiamo intervistato Charlotte Bistoni, agronoma specializzata in sviluppo rurale sostenibile ed esperta di agricoltura familiare, originaria di Arezzo.
Come sei arrivata a scegliere questa strada?
«Dopo la fine del liceo arrivò anche per me la fatidica decisione su quali studi universitari intraprendere e devo dire che ero piuttosto indecisa tra alcune facoltà. Dopo attente riflessioni alla fine ho scelto di frequentare agraria a Firenze, spinta prevalentemente dal mio amore per la natura, per gli animali e ahimé, cosa che ancora non sapevo, anche per gli umani.»
Qual’è stato il percorso formativo che hai seguito?
«Ho ricevuto una formazione molto convenzionale in facoltà, ma alla fine, nonostante fosse tutto molto interessante ed utile, non riuscivo a vedermi gestire i terreni di una grande azienda agricola. È grazie ad un collettivo universitario che iniziai a frequentare in quegli anni, se mi avvicinai a tematiche più sociali ed equosolidali sempre nell’ambito dell’agricoltura e probabilmente era ciò che mi mancava; assieme a loro nacquero vari progetti di autogestione di terreni, tra cui anche la realtà Mondeggi Bene Comune.
A seguito di un anno in erasmus a Praga, ho svolto poi un tirocinio in agricoltura sociale partecipando ad un programma terapeutico agricolo per persone con disabilità mentali, con i quali producevamo ortaggi biologici. Successivamente sviluppai una tesi di laurea sull’agricoltura conservativa, un metodo che permette di preservare l’ecosistema del suolo tramite la semina diretta e senza lavorare il terreno: con il tempo ho capito che anche questo metodo era un pò una facciata, perché studiato ed applicato prevalentemente dalle grandi aziende che possiedono ampie risorse. Durante la specialistica in Spagna, studiai l’agroecologia in generale, come scienza sociale, economica ed ecologica, poi mi recai all’università di Montpellier, dove si progettano sistemi agricoli sostenibili e in cui si può apprendere lo sviluppo rurale e l’approccio sistemico: in pratica studi come si è storicamente evoluto il territorio, cosa è successo politicamente, come vivevano e come vivono le popolazioni del territorio ecc. La comprensione di questi fattori storici, sociali, economici ed ambientali, portano a studiare un metodo di sviluppo sostenibile adatto a quelle terre e alla sua società.»

Cosa significa agricoltura familiare?
«Si definisce azienda agricola “familiare”, quell’attività in cui almeno il cinquanta percento del lavoro agricolo viene svolto da membri della tessa famiglia (o collettivo/associazione) e oltre quella percentuale diventa “patronale”. Chiaramente si parla di superfici esigue, poiché più si ingrandisce il terreno da lavorare, più si tende a meccanizzare le operazioni o a dipendere da manodopoera salariata con un conseguente aumento dei costi. L’ideale per me è una combinazione di piccole realtà che gestiscono diversi ettari così da mantenere integro il territorio, rendere più dinamici i legami sociali e permettere un maggior numero di posti di lavoro.»
In cosa sei specializzata di preciso?
«Sono specializzata nello studio del territorio, per capire le dinamiche agricole e sociali del luogo, comprendere la diversità delle fattorie o aziende agricole, valutare il loro reddito e pianificare le attività che le organizzazioni o il governo locale possono applicare, proponendo innovazioni ed un piano di miglioramento economico adatto alle singole realtà esistenti. Sono chiaramente progetti a lungo termine che richiedono anni per portare risultati.»
Con chi lavori solitamente?
«Considera che principalmente lavoro in programmi di sviluppo territoriale per la piccola agricoltura familiare di Organizzazioni non governative e governative “a taglia umana” nei paesi in via di sviluppo. È molto importante adattare le attività a ogni contesto sociale e formare la popolazione localmente per poter rendere i programmi sostenibili nel tempo.Vorrei fare un appunto sulle grandi ONG, perché spesso non hanno idea di come operare nei territori, andando magari ad inondare di risorse la popolazione che non sa effettivamente come gestirle e danneggiando quindi quelle realtà.»
Quali sono state le tue esperienze all’estero?
«Ho lavorato in Marocco, in Etiopia, in Sierra Leone e Mayotte. In Etiopia sono rimasta per più tempo, circa due anni, lavorando in squadra con una ONG; vivevo in un posto sperduto in mezzo alle montagne in cui la vita scorre davvero lenta rispetto alla nostra. Le difficoltà maggiori sono derviate dal fatto di essere una ragazza, oltretutto giovane e bianca, in una squadra composta da uomini locali: non è stato facile trovare il mio posto, ma avevo già messo in conto che in questi luoghi alcuni dei nostri valori non vengono rispettati. Nel complesso comunque avevo degli ottimi rapporti con la popolazione ed il lavoro è stato davvero incredibile. A volte è dura trovarsi lontani da tutto e da tutti, ma ciò che mi sprona a continuare è il concreto risultato di questi progetti e la possibilità di poter aiutare le persone più svantaggiate, rese così anche dalla macchina capitalista.»
La prossima tappa?
«Panama!»

di LORENZO STIATTI

IG: @charlotte_bistoni

Lorenzo Stiatti
LORENZO STIATTI

Chitarrista e cantautore, principalmente legato da un amore indissolubile alla musica punk e a tutte le sue derivazioni. Lettore accanito sin dall’infanzia e scrittore al giorno d’oggi.

Post Correlati