“Nessun uomo è un’isola – ha scritto John Donne – completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”.
Per raccontare la storia di una squadra occorre tornare indietro, esattamente al gennaio del 2021. Siamo alle porte di Arezzo, nell’indecifrabile nebbia della pandemia; un imprenditore è tale se ha il coraggio di decidere ed è così che Serena indossa i panni della team leader per dar vita al PINKpanart, bar caffetteria e pranzi veloci, la schiacciata sempre calda, uno spritz on the road tra un appuntamento di lavoro e l’altro. Tutti noi, intimamente, ci ripariamo in luoghi che emanano calore, cercando un sorriso che smorzi per un attimo la tensione della giornata: è questa la forza dello staff del Pink, composto da tutte donne per una precisa scelta di Serena. Qui non siamo nell’ambito del post-femminismo di maniera; alla base del progetto di Serena c’è una precisa scelta, umana ancor prima che aziendale.
La valorizzazione seria del lavoro femminile passa attraverso gli sguardi di queste quattro donne giovanissime – Rebecca, Noemi, Martina ed Alicia – che per forza di cose devono confrontarsi quotidianamente con una disparità di trattamento rispetto al mondo degli uomini. Serena è un’imprenditrice che delega; ci sediamo al tavolo e capisco che mi trovo davanti ad una donna che punta tutto sul lavoro di gruppo. Parliamo molto di persone, in questo caso di ragazze completamente dedite al loro lavoro, e poco di numeri. Le pinkine uniscono la vitalità all’impegno e mentre osservo uomini e donne che entrano ed escono dal locale capisco che c’è poco spazio per l’improvvisazione. Il mix tra spontaneità e professionalità è frutto di un’accurata opera di formazione; il team si muove all’unisono – da un lato un pranzo da servire velocemente, dall’altro un caffè prima di rigettarsi nella mischia – ed il risultato è sempre lo stesso: una ventata di passione. Passione intesa come partecipazione profonda al proprio lavoro, senso di appartenenza ad un progetto comune che oltrepassa il semplice rapporto esercente/cliente.
Ti accolgono in tuta le ragazze, atlete della ristorazione veloce; entri in questo universo rosa e ti senti accolto, non puoi fare a meno di notare l’impegno di queste giovani donne. Martina è spigliata e in un momento di pausa afferma di amare il proprio lavoro, sente il Pink “come se fosse mio”, al pari di Noemi che gira come una trottola e sorride affermando che “noi siamo una famiglia…” E poi Rebecca, che si avvicina al tavolo nascondendosi dietro ai suoi occhiali rossi, nata per stare in prima linea; la osservo e vorrei dirle “non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”.
Serena forma e protegge il gruppo; ci tiene a precisare che ovviamente non ha mai avuto l’idea di aprire un locale per sole donne; anzi, nella sua testa balenano idee future che tendono al blu, ovvero al coinvolgimento degli uomini nel progetto. Oltretutto il locale, ampio e spazioso, si presta alla perfezione all’organizzazione di eventi privati; sì, raggiungendo un cospicuo numero di partecipanti è possibile sfruttare la location per festeggiare compleanni, anniversari, traguardi raggiunti e nuovi successi da inseguire.
Il risotto alla finocchiona, uno dei deliziosi piatti che ho avuto il piacere di assaggiare, sta per finire. Mentre infilo gli appunti nello zaino mi guardo intorno ancora una volta; impegno e lavoro costante sulle competenze, unite ad una sana dose di umiltà, sono gli ingredienti di base della sfida di Serena, che ha deciso di andare controcorrente in un momento economico-sociale delicatissimo. A lei, che delle sue ragazze dice semplicemente “sono la mia squadra, che non si sostituisce”, spetta la fascia di capitano.
Donne, professioniste, madri e future madri: qui, al Pink, felicemente on the road.
di NICOLA SPADI
Credits Agnese Andreoni
IG: @pinkpanart
FB: Pinkpanart
Loc. Case nuove di Ceciliano, 128
Disperato sacerdote dell’intransigenza. Filosofo nei giorni feriali, scrittore in erba nonostante l’età avanzata durante i week-end. Cresciuto ascoltando i Pink Floyd e leggendo i libri di Bukowski e Roberto Bolano. La mia principale fonte d’ispirazione è il mio gatto, Giorgio Gaber: lo trovo molto più interessante della chiassosa maggioranza degli umani.