Alzi la mano chi, almeno una volta, ha pensato che il teatro sia soltanto un vecchio e noioso passatempo per persone di una certa età. E se, invece, vi dicessimo che esistono spettacoli senza palcoscenico e che non si osservano stando seduti su una poltrona? Leggete l’intervista a Michele Guidi di Broken Jump per credere!
Come e quando nasce Broken Jump?
«Broken Jump nasce nell’inverno del 2017 da una riflessione sul concetto di arte che io, Sam e Lourdes abbiamo elaborato davanti al Lago di Malovice, nella Boemia del Sud. Di fronte a quella landa ghiacciata fantasticammo tutto il giorno, chiedendoci – fra una birra e una risata – come l’arte potesse smuovere le nostre coscienze, e che ruolo potesse avere nel presente.
Da quella giornata insieme, stampata per sempre come una foto ricordo nella memoria, abbiamo deciso di cominciare insieme il nostro percorso artistico. E così, mesi dopo il ritorno da quel viaggio, fondammo la compagnia. Inizialmente il nostro percorso si è sviluppato grazie ad incontri casuali con musei, pittori e gallerie d’arte della scena underground di Arezzo e di Firenze: dal pittore aretino Franco Fedeli – cui siamo molto legati – che voleva sperimentare in maniera più dinamica la sua arte, fino ai movimenti pittorici fiorentini. Il nostro primissimo evento è stato “Rapsodia X”, al Pastificio Elettrico di Arezzo.»
Chi sono le persone che animano questa realtà?
«Sebbene le iniziative nascano principalmente dalla mia figura e da quella di Sam McGhee, potrei definire Broken Jump come un fluido centralismo organico: in base all’idea e al progetto che vengono sviluppati, la rete umana può espandersi, sino a ricomprendere anche nuclei molto ampi di cinquanta persone. I progetti fanno incontrare attori amatoriali con esperti del settore, studenti con persone di paese, che spesso si sono avvicinati per la prima volta assieme a noi al linguaggio teatrale.»
Site-specific theater, o teatro itinerante: vi va di raccontarci qualcosa di questa innovativa modalità di fare teatro?
«Il teatro site-specific viene spesso inteso come teatro itinerante, ma in realtà l’aspetto più rilevante sta nella creazione dell’evento, che diviene una vera e propria azione artistica.
In un primo momento si ricercano specifici luoghi o situazioni culturali, che poi diventano un vero e proprio cantiere nei quali produrre e sviluppare l’evento.
In questo senso il teatro site-specific trasforma lo spettatore in parte attiva della scena, distruggendo la triangolazione passiva di poltrona-palcoscenico-spettacolo.
La nostra ricerca si basa su tre principali linguaggi di lavoro: innanzitutto vi è lo studio dello spazio, della sua storia e della comunità che lo abita dal punto di vista dello spettatore (host, ghost e witness). Poi si passa al cosiddetto detournment, ovvero una riflessione critica e artistica degli oggetti e degli spazi ai quali viene attribuito un nuovo contesto. Infine, entra in gioco la topofilia, ovvero l’analisi del profondo rapporto che lega le persone ai luoghi.»
Parlateci un po’ delle vostre attività fra passato, presente e futuro (se vi va, lasciateci pure qualche spoiler!)
«Il nostro cavallo di battaglia è sicuramente “Promenade” – un evento giunto ormai alla sesta edizione – che si svolge ogni anno nel paese di Meliciano, alle porte di Arezzo, e che rispecchia a pieno il nostro concetto di lavoro all’aperto ed in itinere.
“Promenade” è un appuntamento a cui teniamo molto, perché è un progetto di comunità, che ogni anno ci consente di sperimentare nuove forme e pratiche del nostro modo di fare teatro, coinvolgendo gli abitanti del paese, ma anche artisti italiani ed internazionali.
Negli anni hanno partecipato a questo progetto ragazzi e ragazze venuti dalla Russia, dall’America, dalla Grecia… Questa commistione di diverse lingue e culture è stato un elemento molto prezioso per lo sviluppo del lavoro, capace di creare delle sinergie davvero uniche.
Oltre a “Promenade”, negli anni abbiamo approcciato anche ad altri elementi del site-specific: ad esempio, con il nostro primo evento ufficiale “Il Fabbricante di Campane”, tenutosi alla Casa dell’Energia di Arezzo, abbiamo ricostruito un multilinguaggio ispirato alla fabbrica e alle storie di quel luogo.
Tra le attività che ricordiamo c’è poi il progetto “Ulisse”, svoltosi al Centro Artistico Internazionale Roy Hart nel sud della Francia, dove durante un laboratorio abbiamo mappato l’intero spazio utilizzabile, con l’idea di creare un evento di “guida turistica” per il luogo.
O ancora il progetto “Metastrade”, che si è sviluppato alla Casa Petrarca di Arezzo durante l’Arezzo Crowd Festival: in quel caso, la storia di una bomba caduta nell’edificio durante la Seconda Guerra Mondiale è stata lo spunto per mettere in scena dei personaggi sfollati, che scappavano portando/racchiudendo le loro vite in piccole valigie e borse, con oggetti-ricordo che scoprivano agli occhi dello spettatore il loro mondo.
Più recentemente siamo stati impegnati con il progetto “Il Giro delle Sette Chiese”, a Monte San Savino: durante il periodo natalizio ci hanno fatto riaprire le chiese del paese (alcune chiuse da anni al pubblico), creando una sinergia tra guide del luogo, mostre e opere di artisti e nostre performance teatrali.
Per il futuro stiamo lavorando su un evento-laboratorio che si chiamerà “Milano Si Nasconde”, e che sarà il nostro primo workshop, volto a sviluppare e il linguaggio e la metodologia del site-specific in chiave urbana.
In ogni caso, il nostro obiettivo è sempre quello di ridare vita e valore culturale – tramite l’azione dell’arte – a spazi, luoghi e territori che sembrano apparentemente assopiti o nascosti nelle pieghe del tempo e del suo utilizzo.
Attraverso l’arte, possiamo osservare tutto da differenti angolazioni, indossando delle specie di occhiali speciali, che ci consentono di guardare la nostra società con gli occhi della sensibilità.»
di AGNESE ANDREONI
Photo Credits Mara Giammattei
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