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Effetti visivi
Intervista all'aretino Roberto D’Ippolito, regista ed uno tra i migliori VFX Artist d’Italia

Vi siete mai soffermati a seguire l’infinita fila di nomi presenti nei titoli di coda di un film o di una serie televisiva? Al pubblico arriva direttamente il prodotto finito, senza che ci si renda pienamente conto di quali e quanti professionisti vi possano aver lavorato. Tra queste figure vi è Roberto D’Ippolito, regista ed uno tra i migliori VFX Artist (esperto di effetti visivi) d’Italia.
Parliamo del tuo passato e del tuo avvicinamento all’ambiente cinematografico.
«Sono nato, cresciuto e vissuto ad Arezzo. Qui, ho intrapreso un percorso di studi in scienze della comunicazione e successivamente, a Torino, ho conseguito un master in digital entertainment, tramite cui sono venuto a contatto con la regia degli audiovisivi ed in particolar modo con il campo della post-produzione, nello specifico gli effetti visivi.
Dopo alcune esperienze in Italia, tra cui scene di alcuni film, creai la mia personale demo reel, ovvero un portfolio dei miei lavori precedenti: a quel tempo la comunicazione non era veloce come oggi e si utilizzavano ancora i cd da spedire in giro per il mondo. Ricordo che stavo lavorando in Germania ad un film (era la mia prima esperienza all’estero), quando venni contattato da Mr. X, la società canadese di effetti visivi più affermata dell’Ontario, i quali mi proposero un contratto di un anno da junior e una paga davvero cospicua: in Italia un’occasione del genere era impensabile, specialmente nel 2008, quindi partì per Toronto senza pensarci troppo. Dopo dodici mesi prendevo un compenso di molto maggiore a quello iniziale e dopo due anni divenni senior.
Scelsi comunque di rimanere un freelance senza legarmi troppo ad una sola azienda, così da poter viaggiare per il mondo.»
Cosa significa lavorare come VFX Artist?
«Ci chiamano artisti, ma si tratta comunque di un lavoro di fino macchinoso e complesso che viene controllato giornalmente, frame per frame, da un supervisore in una sala cinema con un proiettore 4K. Per esempio, nel film di Robocop, ho dovuto lavorare duramente per sei settimane ad una scena di sette secondi.»

A quali grandi produzioni estere hai partecipato?
«I lavori che hanno consolidato maggiormente la mia carriera sono stati molti: la prima stagione di Game of Thrones (le prime due decapitazioni sono un mio lavoro), Robocop, Vikings, Fast and Furious, Scott Pilgrim vs. The World ecc.
Grazie a questo bagaglio di conoscenze, tra regia e VFX, divenni supervisore agli effetti visivi e nel 2015 tornai nuovamente in Canada da Mr. X, i quali volevano affidarmi la serie tv di Guillermo del Toro, The Strain. Ho potuto lavorare a stretto contatto con il regista (lì era in veste di produttore) ed è stata una delle esperienze più incredibili e stremanti della mia vita: la mole di lavoro era immensa, considerando che una puntata (erano dieci a stagione) richiedeva tre settimane di lavoro; il clima canadese in quel periodo era particolarmente proibitivo; la responsabilità che avevo era davvero grande e sbagliare, in una produzione di quella portata, può costare decine di migliaia di dollari: per farvi capire, uno scenografo, durante alcune riprese fuori Toronto, aveva dimenticato di portare una delle tre lanterne scelte dal regista di turno e sparì da un giorno all’altro. Successivamente, grazie a questo lavoro, avrei potuto supervisionare anche The Shape of Water, pluripremiata pellicola agli Oscar, ma per le tempistiche, non potei partecipare.»
Quali sono stati i tuoi lavori sul territorio italiano?
«Parallelamente alle grandi produzioni, cercavo di esprimere la mia vena creativa girando dei videoclip: il primo fu “l’Amorale” degli Zen Circus, con cui vincemmo anche il premio per “miglior videoclip indipendente”. Successivamente collaborai anche con Il Teatro degli Orrori, Caparezza ed altri ancora.
Nel 2015 cominciai a lavorare assieme a Gaia Bonsignore a Stella1, finanziando il cortometraggio con i soldi della vendita della mia vecchia moto: visto il periodo di stress, volevamo creare qualcosa di leggero e rilassante, così pensammo di portare in scena questa storia basata su una bugia bianca, una di quelle che si dicono ai bambini per convincerli a fare qualcosa che rifiutano. A riguardo, c’è un aneddoto che adoro: utilizzavamo un’aula dismessa della Cadorna come base (ci dormivamo per tenere d’occhio le costosissime attrezzature) e lì dentro abbiamo costruito l’astronave che si vede nel cortometraggio; nel momento in cui dovevamo portarla fuori, ci siamo resi conto che non passava dalle porte. Chiaramente abbiamo dovuto demolirla e poi ricostruirla all’esterno. Il corto venne poi premiato due anni dopo in tantissimi festival mondiali e partecipò alle selezioni degli Oscar.
Attualmente ho lavorato a diversi spot pubblicitari, tra cui quello di Bionike presentato a Cannes, e al film “Il cattivo poeta”, uscito proprio adesso al cinema.»

di LORENZO STIATTI

Lorenzo Stiatti
LORENZO STIATTI

Chitarrista e cantautore, principalmente legato da un amore indissolubile alla musica punk e a tutte le sue derivazioni. Lettore accanito sin dall’infanzia e scrittore al giorno d’oggi.

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