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Amouth Band
A distanza di sei anni da Awaken, la band aretina post metal Amouth, torna con un nuovo album

A distanza di sei anni da Awaken, la band aretina post metal Amouth, torna con un nuovo album self titled uscito purtroppo in sordina per colpa del lockdown e del periodo di fermo della scena musicale causato dal virus. Ho incontrato Gabriele Maurizi, chitarrista e cantante della band, per fare due chiacchiere.
Direi di iniziare parlando un pò del passato del gruppo. Quali sono le origini di Amouth?
«La band ha radici lontane. Nel 2002 assieme a Giacomo Fontani, pubblicammo un annuncio su Piazza Grande, rivista ben conosciuta della città di Arezzo, alla ricerca disperata di un batterista per tirare su un progetto grunge. In nostro soccorso arrivò Luca Magrini, colui che rispose al nostro annuncio e che assieme a me, è sempre rimasto attivo sin dalla formazione originale; negli anni si sono avvicendati numerosi membri: Elisa Ciocca, Tommaso Ristori, Danilo Giungato, Lorenzo Secci, Lorenzo Diana, Alessandro Giacchi e Luca Attempati. Nel 2008 fummo costretti a malincuore a cambiare nome in Fudo Satellite, perchè di lì a poco sarebbe uscito il nostro primo disco prodotto da UK Records, Primitive ed il nome Sleepers era già registrato da un’altra band americana. Nel 2013 cambiammo nuovamente nome in Amouth.»
La ragione per questo ulteriore cambio?
«Ci eravamo rotti le palle e sinceramente faceva cagare! (ride) Nel tempo, oltre ai nomi, si sono evoluti anche i nostri gusti musicali e siamo passati dal grunge del primo disco, al post metal/ post hardcore degli ultimi due.»
In cosa si differenzia da Awaken e qual’è stato il percorso creativo dell’ultimo self titled?
«Entrambi i dischi sono stati concepiti al Fudo Recording Studio, sala prove e studio di registrazione di nostra proprietà. Awaken è stata la sperimentazione di sonorità differenti da quelle che ci avevano caratterizzato negli anni precendenti. Volevamo uscire un pò dal mondo grunge e stoner per abbracciare uno stile post metal simile a quello di Amenra e Cult of Luna. Il self titled ha sicuramente ricevuto una cura in pre produzione notevolmente maggiore rispetto al suo predecessore, andando a limare ogni singola traccia affinchè risultasse più variegato e meno statico, vista la considerevole lunghezza dei nostri brani. I cambi di tema sono numerosi e gli intrecci di chitarre più stimolanti, grazie all’aggiunta del terzo chitarrista. Anche per i testi e le voci, il lavoro è stato lungo e difficile, ma il risultato è stato soddisfacente. Per me (Gabriele), questo album travagliato sancisce un passaggio: riflette e sintetizza l’emotività ed i suoni che hanno caratterizzato il periodo della sua scrittura e mi rendo conto di aver già superato quella fase da diverso tempo. Amouth è stato scritto tra il 2017 ed il 2018, rimanendo in stand by per vari motivi interni ed esterni. Tragicamente avevamo ripreso a provarlo in sala e a prepararci alla sua release, quando poi è scoppiata la pandemia, ma eravamo così stanchi di rimandarne l’uscita, che alla fine abbiamo deciso di pubblicarlo solamente in digitale.»

Quali tematiche affrontate in Amouth?
«I testi dei vari album li ho praticamente sempre scritti io. Per crearli, utilizzo una vecchia tecnica da beat generation chiamata cut up: in vari momenti segno frasi scollegate su di un quaderno e, ascoltando la musica in sottofondo o immaginandomela, le combino in testi interi. Tutto questo avviene spesso inconsciamente ed è molto affascinante. Gli argomenti di cui parliamo sono perlopiù esperienze personali, sensazioni, emozioni e riflessioni.»
Vi hai mai penalizzato il fatto di scrivere e cantare in inglese?
«In Italia siamo stati sicuramente penalizzati per questo fatto. Ci siamo spesso sentiti inadeguati nei confronti della scena italiana, a volte troppo poco rumorosi, oppure troppo lenti, oppure troppo forti ecc… Sinceramente siamo sempre stati molto più apprezzati all’estero e la cosa non ci dispiace. In passato abbiamo viaggiato e suonato molto, ma negli ultimi anni, come spesso accade, gli impegni personali ed il lavoro tendono a ridurre notevolmente il tempo che puoi dedicare ai live. La formula di sporadici spettacoli diluiti nei mesi è sicuramente la nostra miglior opzione.»

di LORENZO STIATTI

FB: @amouthband
IG: @amouth_band

Lorenzo Stiatti
LORENZO STIATTI

Chitarrista e cantautore, principalmente legato da un amore indissolubile alla musica punk e a tutte le sue derivazioni. Lettore accanito sin dall’infanzia e scrittore al giorno d’oggi.

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