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Theatrum Mundi: L’Importanza della Meraviglia
Abbiamo incontrato Luca Cableri, Amministratore e Coordinatore di Theatrum Mundi: un piccolo scrigno, fluttuante nello spazio e nel tempo, che si nasconde senza far rumore tra i vicoli di Arezzo

Abbiamo incontrato Luca Cableri, Amministratore e Coordinatore di Theatrum Mundi: un luogo a metà tra una wunderkammer del XXI Secolo e una galleria d’arte molto, molto particolare; un piccolo scrigno, fluttuante nello spazio e nel tempo, che si nasconde senza far rumore e senza farsi notare tra i vicoli del Centro Storico di Arezzo.
Parliamo della tua storia, dagli inizi fino ad arrivare a Theatrum Mundi.
«Sono nato a Cividale del Friuli, ma ho vissuto a Farra d’Isonzo (GO). Ho studiato Giurisprudenza ad Urbino, dove ho conosciuto la mia futura moglie, originaria del Casentino. Dopo l’Università ho fatto un’esperienza da Christie’s (la più grande casa d’aste al Mondo, con sede a Londra – NdA); lì ho iniziato a capire come funzionava il mondo dell’arte, viaggiando molto. TM era inizialmente concepita come wunderkammer classica. Negli anni abbiamo poi prediletto elementi più contemporanei. Portiamo gli oggetti da un mercato a un altro, dandogli una luce e una veste diversa, un’estetica nuova, con tutto ciò che ne consegue. Abbiamo avuto un grande ritorno mediatico: penso alla copertina con National Geographic, i due docufilm al cinema e il podcast “Strange Things”, curato dalla speaker Marlen Pizzo, in collaborazione con M2O e Radio Deejay. Possiamo oggi considerarci un unicum nel Mondo; dopo di noi sono nate alcune situazioni simili alla nostra, ma io la considero una cosa positiva: più se ne parla, più pubblicità c’è.»
Che tipo di oggetti trattate?
«La galleria si basa su quattro “pilastri”. 1) Il core business, i dinosauri. Abbiamo una partnership con gli Stati Uniti, dove scaviamo terreni; la mia proposta è poi quella di “montare” gli scheletri fossili originali completi in una forma non classica, più dinamica. Collezioniamo anche fossili su lastra, presentati come fossero quadri. 2) Le meteoriti. Abbiamo un pezzo di Luna e di Marte, che sono i più famosi e attrattivi, oltre a tutta una serie di meteoriti belle per la forma, che cambia a seconda dell’impatto che esse hanno con l’atmosfera, rendendole così uniche. 3) Le tute spaziali, di cui sono sempre stato fan. La collezione conta una decina di pezzi, risalenti agli anni ’60 e ’80. 4) Infine il cinema: abbiamo tanti oggetti, che negli ultimi anni hanno avuto un incremento economico pazzesco. Di base si tratta di pezzi iconici, intrinsecamente affascinanti; cerchiamo sempre di avere props altamente riconoscibili, perché sono più vendibili. Sul cinema, la nostra è una collezione unica in Italia, in Europa ce ne sono forse solo altre due o tre. Qui abbiamo pezzi da Rocky Balboa, Back To the Future, Jumanji, Ready Player One, Star Wars, Io, Robot, X-Men e gran parte del mondo Marvel e DC.
Ultimamente stiamo trattando anche le sneakers, sempre però con la mentalità di una galleria d’arte. Per esempio, abbiamo il primo modello di Jordan, le Chicago ’85, utilizzate da Michael Jordan all’inizio della carriera; le Nike “Back to the Future”, e le Nike “Freddy Krueger”, di cui sono sopravvissuti solo trenta esemplari in tutto il Mondo.»

È interessante l’approccio “pop” verso la tipologia di opere che curate, pur mantenendo sempre un registro altolocato, “galleristico”.
«Ci piace essere innovativi; io non ho mai avuto paura di fallire, sono sempre andato per la mia strada. È sempre difficile, la gente ha paura delle cose nuove, ma questo è quello che so fare; poi magari ci vuole un po’ di tempo prima di essere capiti. Alle prime Fiere è stato difficile entrare, i galleristi classici ci guardavano un po’ in cagnesco. Ma se poi sperimenti, mettendo ad esempio il busto di Batman accanto a un busto classico, o gli artigli di Wolverine insieme ai Tagli di Fontana, fai capire che questi possono effettivamente dialogare tra loro. La mia missione è quella di portare questi oggetti a un altro livello; mi pongo al servizio del nuovo, pur provenendo dall’antico, dal classico, attraverso un percorso a ritroso.»
Come vi rapportate con la clientela?
«Il rapporto coi clienti è strettamente personale, selezionato. Siamo ad Arezzo, una città che è di per sé una piccola cassaforte d’arte. Non ci sono grandi flussi di persone, quindi il collezionista, l’appassionato, viene qui e si trova in una situazione perfetta. Al 99% trattiamo con l’estero; in Italia lavoriamo con alcuni brand. Alle feste poi ovviamente entriamo in contatto con una clientela importante: attori di Hollywood, grandi proprietari, ecc. A volte mi sento un po’ come Cenerentola, so che a mezzanotte la carrozza è destinata a tornare una zucca: ricordo sempre da dove vengo, so che questo è il mio mondo, e che è diverso dal loro.

Spesso cerco oggetti appositamente per i miei clienti, oppure sono loro a chiedermeli. È quasi tutto possibile, i tre fattori determinanti sono contatti, tempismo e soldi. Ciò che ci differenzia è la professionalità: c’è un team di lavoro che compie ogni passaggio in maniera impeccabile.
Per tutti gli oggetti che vendiamo, redigiamo un Certificato di Originalità e Autenticità, con durata a vita; produciamo un pacchetto che viene acquistato insieme all’oggetto, dentro al quale risiede tutto il nostro know-how e il nostro lavoro.
Qui ci sono privacy e riservatezza assolute, non è snobismo verso la città e gli aretini, ma deontologia. Per tutti questi motivi, TM non è aperta al pubblico; oltre al fatto che noi facciamo un altro tipo di mestiere: non esporre, ma semplicemente acquistare e vendere.»
Questi oggetti, aldilà della professione, cosa rappresentano per te a livello emotivo?
«È impossibile fare questo lavoro se non per passione. Negli anni ho avuto varie crushes (ride – NdA). Mi è rimasta un po’ quell’anima adolescenziale, di bambino, perché per me la meraviglia è importante, è qualcosa che si innesca sempre e solo quando non si conosce. Sono molto legato agli oggetti, è difficilissimo sceglierne uno preferito, forse la tuta spaziale è quello a cui sono più legato. È un sogno da bambino, quello della ricerca dell’impossibile, l’idea di poter vedere la Terra dallo Spazio. Sarà che da piccolo mi soffermavo sempre a guardare le stelle, o che ogni bambino ha sognato di fare l’astronauta almeno una volta nella vita. Guardare questi oggetti è un po’ la ricorrenza del sogno, ed è anche la sublimazione di un sogno. Io poi sono sognatore per natura, vedo sempre positivo; una caratteristica che è stata necessaria per poter fare questo lavoro, dove si vivono anche periodi complicati. Il segreto è cercare di prendere sempre il giusto e il buono da ogni esperienza.»

di GEMMA BUI
Credits Juri De Luca. Fotografia del T-Rex
per gentile concessione di Koller Auktionen

tmundi.com
IG: @theatrummundi_arezzo
FB: Theatrum Mundi
Via Cesalpino, 20 | Tel. 0575 354078
* Aperto solo su appuntamento per collezionisti, curatori e stampa.

Gemma Bui
GEMMA BUI

Studentessa, musicista, cultrice dell’Arte variamente declinata. Con la scrittura, cerco di colmare la mia timidezza dialogica. Nelle parole incarno la sintesi – e non la semplificazione – della realtà. Credo nella conoscenza come mezzo per l’affermazione di sè e come chiave di lettura dell’esistere umano.

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