Torniamo dopo molto tempo a parlare di generi musicali fondanti, nel caso specifico del jazz. Abbiamo intervistato Santiago Fernandez del Santiago Fernandez Quintet riguardo al loro primo disco intitolato Imaginary Soundtrack, uscito recentemente per l’etichetta Emme Record Label e registrato al Cicaleto Recording Studio di Arezzo (di quest’ultimo abbiamo già parlato in qualche numero fa di WEARE).
Come e quando si è formato il gruppo?
«Il progetto è nato circa tre anni fa nelle aule di Siena Jazz, un’accademia senese specializzata nel genere. Sia nell’ambito dello studio che durante il nostro tempo libero, ci ritrovavamo assieme a Fabrizio Doberti, Federico Campanello, Edoardo Ferri, Eros Terzuoli per suonare e fare delle jam, a cui si è aggiunta poi Selene Zuppardo che ha partecipato come special guest per la voce in due brani di Imaginary Soundtrack. Tra una prova e una sessione di registrazione, sono nate grandi amicizie e grandi progetti musicali tra cui questo che si è poi consolidato nel tempo anche con vari live tra Siena, Arezzo e Firenze. Siamo entrati in sala di registrazione al Cicaleto poco più di un anno fa perché avevamo tutti questi brani originali suonati in giro ma mai fissati in un disco e alla fine sentivamo che era il momento di inciderli.»
Svisceriamo un po’ Imaginary Soundtrack. Cosa rappresenta questo vostro lavoro?
«Imaginary Soundtrack è un viaggio interiore che al contempo vuole anche rivelarsi esteriormente. Si può parlare di una sorta di diario di bordo di mie esperienze ed impressioni tematiche che ho cercato di trasporre in musica. I brani nascono da momenti del mio percorso di vita, ma hanno volutamente dei titoli generici per lasciare la libertà all’ascoltatore di potercisi rispecchiare più facilmente. Faccio un esempio più pratico utilizzando il primo brano del disco, Segreti: il titolo è stato dato un po’ per gioco e un po’ riflettendo sulla dimensione nascosta che ci portiamo dietro noi esseri umani. Il dover indossare delle maschere in certe situazioni è una cosa che ci accomuna tutti in un modo o in un altro e la sfida per poter tirare fuori noi stessi, e per essere sempre più trasparenti, è davvero molto ardua e non ha mai fine. Per tornare al discorso iniziale, questo disco è un riassunto della prima porzione di questo mio percorso esistenziale fatto di esperienze che ho condiviso con persone splendide e che si sono andate a sedimentare poi in questi brani. Ho cercato di imprimerci allo stesso modo emozioni positive e negative, andando a costruire un intreccio tra gli strumenti che rendesse percepibili le differenze nello stato d’animo.»
Nel vostro disco avete inserito elementi alternative, post-rock e molto altro. Come si è evoluto secondo te il jazz moderno anche alla luce di varie contaminazioni?
«Non è affatto una domanda semplice, ma proviamo ad affrontarla. Quello che solitamente si usa rispondere è che quello che ha fatto la musica classica in seicento o settecento anni di storia, il jazz lo ha fatto in cento ed è un genere piuttosto giovane. Si stabilisce come momento della sua nascita, e lo conosciamo anche grazie a scrittori come Fitzgerald ed Hemingway, il decennio a cavallo tra gli anni dieci e anni venti del novecento. È stato preceduto da antenati come ragtime e gli spiritual, cantati nelle piantagioni di cotone dagli schiavi africani e successivamente si è ramificato nelle musiche cugine della diaspora africano-americana, come il blues, il soul, il funk, l’r&b ecc. La forza del jazz è il dialogo e la malleabilità che gli permette di entrare in contatto e di fondersi con altri generi musicali, con altre culture e con altri idiomi. Definire il genere è complicato ad oggi, ma possiamo riconoscere alcuni suoi filoni come il jazz mainstream che si rifà un po’ alla tradizione degli anni sessanta hard bop americana, mentre quello a cui mi rifaccio io è principalmente quello di matrice europea/nord europea, nato dall’incontro con la musica classica e contemporanea: le nuove correnti si sono sviluppate successivamente all’arrivo del jazz in tutto il resto del mondo e dopo aver assorbito i vari patrimoni folkloristici degli altri continenti. Personalmente, anche con Imaginary Soundtrack, siamo particolarmente rivolti a sonorità ambient, di ricerca dell’etereo, alla cura del suono, all’attenzione per la rarefazione con molte dinamiche in piano pianissimo e all’assenza di pulsazione ritmica. L’improvvisazione ed il dialogo costante tra strumenti restano comunque gli elementi più riconoscibili ed iconici del genere.»
di LORENZO STIATTI
Credits Tommaso Taurisano
IG: @tiagofernandez10