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Navigare nell’arte
Elisabetta Caizzi Marini, emergente artista aretina si lascia trasportare da un flusso atemporale

Ho preso un lungo caffè con Elisabetta Caizzi Marini, aretina di nascita, fiorentina di passaggio
e bolognese stabilita. Artista emergente diplomata in Pittura all’Accademia delle Belli Arti di Firenze, si spostata poi a Bologna per specializzarsi in Grafica d’Arte.
Elisabetta mi racconta che per i suoi lavori naviga tra varie tecniche artistiche, lasciandosi sempre trasportare da un flusso atemporale ed eliminando la sua più intrinseca soggettività. È una pittrice, incisora e scultrice che pur utilizzando un linguaggio artistico ricco e forte, non tipico della sua età, maschera semplicità e timidezza.
Tutti questi linguaggi artistici fanno parte di un’unica narrazione, che inizia dalla gestualità delle mie mani per finire nella tensione emotiva delle mie opere. Non attuo una scelta anticipatoria e funzionale a ciò che voglio esprimere, diciamo che la tecnica è in funzione all’emozione e non viceversa.
Un linguaggio poetico maturato nel tempo che ha abbracciato tecniche calcografiche sperimentali e tecniche incisorie fino alla scoperta di materiali organici come il bitume.
Anche i materiali vengono scelti lì dove l’istinto e la comunicazione risiedono. Non esistono nella mia ricerca artistica delle differenze tra le varie tecniche, molte volte utilizzo componenti degli stessi quadri per ‘’nascondere’’ il volto di una scultura, oppure gli stessi colori calcografici sostituiscono i colori ad olio nei dipinti. Mi piace guardare ai materiali intrisi di una storia antica, arcaica. Esiste certamente una ricerca cromatica che si avvicina all’Arte prestorica, per essere filtrata da luci caravaggesche fino all’assenza di regole prospettiche di El Greco, ma i materiali vengono colti lì dove l’istinto risiede.
In un periodo di parentesi introspettiva come quello che stiamo vivendo, soprattutto per un’artista che si trova ad essere un assente dimenticato con l’impossibilità di prendere parola in un passaggio emergenziale, Elisabetta ha invece trovato nel lockdown una fonte di liberazione da una serie di dinamiche sociali, permettendole di concentrarsi sulle sue opere.
Per la prima volta nella mia vita il mondo ha osservato se stesso tramite occhi artistici. Molto spesso chi lavora nell’arte viene deriso per quello che viene definito “non lavorare”, quando non ci si accorge che le attese, il silenzio e la solitudine fanno parte di un lavoro constante. Per me è stata una fase d’incubazione necessaria al presente nel quale sto canalizzando, attraverso nuove opere, il vissuto.

Oggi Elisabetta è totalmente immersa in una nuova produzione di opere.
“Il periodo di pandemia ha lasciato una forte voglia di trovare il proprio spazio nel mondo: a Bologna sto lavorando all’apertura di un nuovo Studio insieme all’artista Giuseppe de Gregorio e alla musicista Tullia Benedicta.
Non posso svelare la sua localizzazione perché abbiamo deciso di lavorare sul concetto del ‘’non luogo’’ ma posso dire che sarà uno spazio di catarsi per gli artisti che si troveranno a Bologna ad esporre. Sarà possibile fermarsi e continuare la propria produzione anche in un momento così delicato che è per un artista una mostra personale, momento di estrema tensione ed apertura verso l’esterno dove si è messi a nudo.

di GIULIA MIGLIORI

elisabettacaizzimariniart.com
IG: @elisabettacaizzimarini_art

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