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Mind and Senses Purified - Sansovino Women: Bombe nell’Aria!
Intervista a Laura Teci ed Eva Tinti, calciatrici della neopromossa in Eccellenza Sansovino Women!

Alla fine dell’estate, ma alle soglie della nuova stagione calcistica, abbiamo intervistato Laura Teci ed Eva Tinti, fiere giocatrici della Sansovino Women, la squadra di calcio femminile di Monte San Savino.
Laura ed Eva sono di ritorno dalla pausa estiva quando ci incontriamo. Sono sorridenti, affiatate, scherzano su quanto sarà dura riprendere gli allenamenti. È Eva che mi domanda subito perché abbia deciso di intervistarle, e io dico la verità: scoprire la realtà della “Sanso”, la squadra arancioblè che in un anno dalla sua creazione è passata al Campionato Eccellenza, mi ha incuriosito parecchio.

Ma iniziamo dalle basi: chi siete e da dove venite?
L: «Io sono di Badia a Ruoti, tra Arezzo e Siena. Ho iniziato a giocare da piccolina, 5 o 6 anni, nel piazzale di casa con mio fratello, gli amici… Da quando ho iniziato non ho mai smesso di giocare a calcio. Prima nella squadra della Bucinese, insieme ai maschi. Poi a 14 anni, se vuoi giocare, devi per forza andare nella squadra femminile, così sono andata a Firenze: quando avevo 14 anni io, c’erano molte meno squadre femminili. Dopo sono passata a una squadra aretina, la Stella Azzurra, e poi all’Arezzo.»

Non sapevo che fino ai 14 anni si giocasse coi maschi.
L: «Adesso ci sono tante scuole calcio solo femminili, a partire dai pulcini, ma prima no.»

E che ne pensi? C’è necessità di separare sin da piccoli?

L: «Da bambini non c’è disparità, i ragazzi con cui giocavo io ti facevano proprio integrare. Ti formi molto di più giocando con i maschi, secondo me si vede la differenza tra chi è cresciuto giocando con i ragazzi e chi con gioco solo femminile.»

In cosa si vede, secondo te?
L: «A livello di campo, di fisico, di tenacia, dipende da persona a persona, ma anche a livello caratteriale ti rafforza un po’ di più. 

E: È vero: quando giochi con persone come Laura ti rendi conto di chi ha iniziato da bambino e chi no, a livello proprio di coordinazione, di contatto col pallone. È tutto un altro approccio. Io vengo da Pratovecchio e ho iniziato a 15 anni a giocare: il calcio mi piaceva tanto da bambina, ma non avevo mai pensato seriamente di poter proseguire. Finché alle medie, in un torneino estivo, delle ragazze mi dissero che in Casentino sarebbe nata una squadra femminile. Nel 2010 è nato il Casentino Calcio femminile che è stata l’unica realtà di calcio femminile della valle, e per me è stata casa. Nel 2018, quando è finito, ero un po’ spaesata. Sono andata a San Giovanni Valdarno, era un bel viaggio ma non volevo smettere. Però poi, durante il Covid, con le ragazze e amiche che avevano lasciato il Casentino abbiamo detto: perché non ricominciamo a giocare insieme? Nel 2021 la Sansovino ha accolto il nostro progetto: ci hanno detto che avevano già intenzione di creare una squadra femminile, e così per noi si è realizzato il desiderio di giocare ancora insieme. Quando siamo partite c’erano dentro persone che erano amiche da anni: oltre a noi, Laura e un gruppo di ragazze che erano nell’Arezzo; e poi la Mister Fambrini, che è stata una giocatrice di livello, ha allenato a Siena, e ha portato delle ragazze da lì. Poi naturalmente la Società ha messo a disposizione tutto ciò che riguarda la struttura e lo staff tecnico.»

Com’è il rapporto tra la squadra e il suo territorio?
L: «Non me l’aspettavo un’accoglienza del genere. Al Monte quelli che vanno a vedere il maschile vengono anche a vedere noi, loro hanno proprio gli ultrà e si è instaurato un bellissimo rapporto anche al di fuori del campo. Io non l’avevo mai avuto un tifo così: in genere sugli spalti a vedere il femminile ci sono i genitori, e invece qui viene la gente del paese. Anche semplicemente al bar, ci chiedono come sta andando il Campionato, anche gente che non conosciamo… Fa molto piacere, e noi cerchiamo di essere coinvolgenti di rimando.»

Nel 2022 siete entrate in Eccellenza; a giudicare dai video che si trovano online, delirio livello “vittoria agli Europei”. È stato bellissimo, vero?
E: «Parecchio! Penso di averla sognata per due settimane.
L: Quella vittoria è stata davvero bellissima. Siamo andate in giro per il paese con le macchine, c’è stata la festa allo Stadio… Ed è stato bello perché ci siamo proprio divertite. Non è mai facile amalgamare gruppi di persone diverse, ma noi siamo sempre state una squadra davvero unita, anche quando si faceva qualcosa fuori dal campo si era sempre tutte. Probabilmente abbiamo vinto anche per quello.»

Ma com’è fare calcio a questo livello, vivere una squadra?
E: «Essere un gruppo di donne che esce dal lavoro alle 18, va al campo alle 20 e si allena fino alle 22, due, tre volte a settimana, ti fa vivere insieme le criticità di ognuna. Perché in un anno, anche se sei forte, passi dei momenti duri, e essere insieme in uno spogliatoio te li fa sentire tutti. A volte non sei al massimo, ti passa la voglia e la cerchi nell’altra che un po’ ti sprona… E il primo anno è andato bene, ma non è stato privo di momenti bui. Però il calcio è sempre stata una priorità. Noi siamo state secondo me molto unite negli intenti, serie quando bisogna essere serie e leggere quando si può essere leggere. E stare in squadra significa in qualche modo accogliere gli altri.
L: Sì, quando giochi con qualcuno per tanto, impari a conoscere la persona anche nei suoi aspetti più intimi, senza filtri.»

Vi capita che la gente si stupisca sentendo parlare di calcio femminile?
E: «Adesso non tanto: è bello che il calcio femminile ora sia “normale”. Ma noi abbiamo vissuto la generazione in cui la gente si meravigliava: mia mamma era un po’ preoccupata quando le ho detto che andavo a giocare a pallone, forse perché quando io avevo 15 anni eri vista come un maschiaccio.
L: Secondo me i genitori si preoccupano anche di tutelare le figlie dai pregiudizi della gente. Prima te lo dicevano: ma come, fai calcio? E poi non tutte possono fare 50 km per andare ad allenarsi. La mia fortuna è stata avere mio babbo che mi accompagnava: usciva dal lavoro e mi portava a Firenze più volte a settimana.»

E ora sta cambiando qualcosa?
L: «Tanto è decollato in Italia dopo il mondiale del 2019: nessuno aveva aspettative, poi siamo arrivati agli ottavi e la gente si è appassionata. Ma pensa anche al fatto che la Serie A di calcio femminile è diventata professionismo solo quest’anno: prima le ragazze giocavano come facciamo noi adesso, dopo il lavoro, nonostante fosse Serie A nazionale.
E: Non era riconosciuto come un lavoro. E finché un impegno del genere non lo riconosci come tale, non può crescere il movimento. Magari smetti di giocare e devi cercare un altro lavoro, ti ritrovi con niente in mano.»

Quando fai una ricerca su Internet, devi scrivere “femminile”: il calcio, se non ha un aggettivo, è maschile. Ma le differenze con il calcio maschile, ci sono davvero?
L: «Se sei abituato ai ritmi di una partita di calcio maschile, una femminile è oggettivamente diversa. Il calcio femminile è più lento, ma non per questo più brutto. Purtroppo c’è il pregiudizio che il calcio maschile sia “di più” del calcio femminile, e non so se verrà mai abbattuto. Poi lì è un fatto culturale. Se guardi gli Stati Uniti, per esempio, il femminile è più seguito del maschile.
E: Certo c’è una grande maggioranza di uomini rispetto a una minoranza di donne che fanno calcio. È che per noi in Italia, è quasi automatico: se vuoi far fare sport a un bambino, gli fai fare calcio. Però ora il calcio femminile si è un po’ sdoganato, e si nota tanto. Detto questo, è stupido paragonare il calcio femminile a quello maschile, ma in tutti gli sport è stupido farlo. È lo stesso sport, ma fatto con fisici diversi: non ti puoi aspettare dal corpo di una donna la forza di uno maschile.»

A proposito di cultura, a volte l’impressione è che il calcio in Italia sia visto come un feudo maschile, anche perché viene spesso raccontato dai media come testosteronico, aggressivo. Voi che ne pensate?
E: «Non so se convengo, perché il calcio in sé… gli urli, la forza… sono tutte cose che ti vengono spontanee anche nel piccolo. Perché a volte nello sport, quando sei in campo, sei “sotto ossigeno”, non ragioni. Reagisci in maniera intensa, ma non la vivi come aggressività.
L: Anche uno scontro a livello fisico ci può stare, se non è cattivo ovviamente. È naturale. Insomma, capita anche nel femminile: non ci vedo una differenza con il calcio maschile.»

Domanda di rito: c’è qualche ultima cosa che volete condividere?
E: «Penso all’esperienza in Casentino, che per me è stata molto importante, perché lì ho scoperto che c’erano tante ragazze che avrebbero voluto giocare come me. È stata proprio una scoperta del territorio e di me stessa, e ci siamo poi tolte un sacco di soddisfazioni: ha portato il contesto della valle ad avvicinarsi a noi, ha coinvolto un sacco di paesi. E mi sarebbe piaciuto che continuasse per lasciare alla mia valle le possibilità che io non ho avuto. Ecco, probabilmente è questo ciò che ancora non c’è e che vorrei: più possibilità, anche fuori dai grandi centri, per le bambine e le adolescenti.»


di VIVIANA RIZZETTO

Contatti
IG: sansovino_women
FB: Sansovino Women

Credits: Anna Moffa, Fotografa e SMM Sansovino Women

Viviana Rizzetto
VIVIANA RIZZETTO

La valigia è diventata fondamentale da quand’ero bambina, così la mente l’ha seguita. Teinomane, nictofila, multitasker; un po’ nerd. La laurea in lettere l’ho presa perché credo che la letteratura e la scrittura siano le cose più fighe che l’umanità abbia inventato.

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