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Fotografia… una terapia sociale
L’arte in generale è un elemento da sempre ricorrente in casa mia: mia madre è una pittrice, così come mia sorella. Il linguaggio visivo è stato quindi una costante nella mia vita, già a partire dall’infanzia...
Fotografia… una terapia sociale

Un freddo pomeriggio di Novembre ai piedi della Fortezza Medicea di Arezzo, intravedendo le meraviglie del centro storico stagliarsi in un morbido grigio: quale miglior scenario per due chiacchiere con Elisa Modesti, giovane artista fotografica emergente della scena aretina?
Come nasce e si sviluppa la tua passione per l’arte fotografica?
«Nasce in famiglia, trasmessa da mio padre. Lui è sempre stato un amatore, poi, facendo un corso approfondito, ha portato in casa stimoli ed indicazioni che, unendosi all’attrezzatura fotografica da sempre presente, hanno scatenato la mia curiosità per l’arte fotografica. Inoltre, l’arte in generale è un elemento da sempre ricorrente in casa mia: mia madre è una pittrice, così come mia sorella. Il linguaggio visivo è stato quindi una costante nella mia vita, già a partire dall’infanzia. Ho inizialmente svolto un primo corso base di fotografia, per poi concentrarmi nel capire cosa mi piaceva fotografare, focalizzando il mio obiettivo sul fotogiornalismo e sulla fotografia documentaria. Ho poi affrontato un corso di foto-progettazione a Firenze che mi ha insegnato a creare un progetto fotografico, a partire dall’idea fino ad arrivare alla fase di editing e selezione delle immagini più efficaci nel trasmettere il messaggio che si desidera diffondere. Infine, nel 2016, mi sono iscritta ad un master allo IED Milano, con cui ho acquisito una visione più approfondita dell’applicazione lavorativa della fotografia.»
La terra aretina è pervasa dall’arte; crescere in questo contesto ha influenzato il tuo modo di creare immagini? Come?
«Ciò che del contesto territoriale aretino ha influenzato maggiormente i miei lavori è stato il viverlo come ristretto. Il progetto con cui ho chiuso il master, infatti, si intitola 25.000 m², a rappresentare il perimetro entro cui si è svolta la maggioranza della mia esistenza. Grazie a questo progetto, guidato dall’attenzione verso la persona, ho potuto posare lo sguardo sul quotidiano della vita di provincia, dando rilevanza a ciò che viene solitamente vissuto come “piccolo” e sviluppando positivamente ciò che avvertivo come un limite. Innegabilmente, poi, c’è molta arte ad Arezzo relativamente alla sua dimensione: ciò consente un continuo e stimolante confronto con vari linguaggi espressivi.»
Si nota nei tuoi lavori una ricorrenza di soggetti appartenenti alla quotidianità, senza la ricerca forzata dello scatto ad effetto; si può parlare di esaltazione della normalità?
«Assolutamente sì. Adoro concentrarmi sulla realtà con cui sono stata in contatto giorno per giorno, in modo da esaltarne ogni aspetto. Affronto queste tematiche sia nell’ambito familiare, in cui la fotografia diventa vera e propria auto-terapia, sia osservando la socialità che mi sta intorno. In entrambi i casi guardo con occhi speciali momenti che sono per lo più vissuti come banali, restituendo valore a ciò che troppo spesso passa oggi inosservato.»

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Un altro aspetto che emerge dalle tue foto è un’estrema attenzione a dettagli che sfuggono al primo sguardo; è una tua caratteristica innata o una propensione che ricerchi e sviluppi per precise motivazioni concettuali?
«Direi entrambe. Già dalle mie prime foto è emersa l’attenzione verso i dettagli più sfuggenti; ho poi sviluppato questo orientamento tanto da poter, ad oggi, inserire la maggior parte dei miei lavori all’interno di questo filone. Le mie fotografie hanno come punto di partenza le persone, con cui entro maggiormente in contatto utilizzando la macchina fotografica come mezzo di comunicazione. Utilizzo quindi questo strumento artistico come mezzo di indagine sociale, cercando di vedere l’interiorità attraverso aspetti appartenenti all’esteriorità.»
Cosa ne pensi di social media come Instagram? Li reputi un ampliamento delle possibilità o una potenziale minaccia?
«La grande diffusione dei social media ha dato la possibilità a tutti di esprimersi con il mezzo fotografico, grazie ad un’accessibilità diversa anche sotto l’aspetto economico: oggi si possono fare delle buonissime foto anche con un banale smartphone. Questo, per me, non è da vedere in maniera negativa: rende alla portata di tutti uno strumento espressivo che credo abbia una valenza terapeutica. Credo poi che chi è bravo lo sia tanto con una macchina da 4000€ quanto con uno smartphone da 300€, perché il talento

emerge sempre, a prescindere dallo strumento.»
Hai progetti imminenti o sogni professionali che vuoi condividere con i nostri lettori?
«Sto ultimando un progetto su posti isolati, abitati da meno di 20 persone, finalizzato a scoprire le dinamiche della micro-socialità; in particolare, mi sono focalizzata sull’Isola Maggiore, l’unica isola abitata sul Lago Trasimeno. La fase dell’elaborazione è terminata, al momento mi sto adoperando per la pubblicazione e per l’esposizione tramite delle mostre. Inoltre, ho in cantiere alcuni progetti più introspettivi, ancora in fase embrionale.»

di ALESSIO FRANCI

emodesti.tumblr.com

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ALESSIO FRANCI

Innamorato di ogni applicazione del linguaggio, dipendente dal bello e dal buono. Osservo, rifletto, pungo, vivo. Da 27 anni mi muovo per il mondo senza filtri e senza la pretesa di trainarlo, col solo obiettivo di interpretarlo ed apprezzarne le armonie e le sfumature.