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La poetica in movimento di Pacheco

Per Miguel Angel Pacheco, artista performer venezuelano, l’arte non è scelta, ma necessità. Da Caracas ad Arezzo, sfidando la città e sé stesso

L’artista oggi dovrebbe andare fuori per strada a fare arte, dovrebbe sentirne la necessità senza rintanarsi in una galleria, averne curiosità e coraggio. Anzi invito gli artisti che si trovano in città a farlo, sfidiamo la città così sfidiamo anche un po’ noi stessi.
Per Miguel Angel Pacheco, artista performer venezuelano, l’arte non è scelta, ma necessità. Da Caracas ad Arezzo, passando per Stati Uniti, Cina e Portogallo, porta la sua poetica in strada, sfidando la città e sé stesso.
Negli ultimi dieci anni ha girato il mondo, facendo di necessità virtù – quella di migrare in diversi Paesi – e portando con sé la voglia di esprimersi attraverso vari linguaggi artistici. Si è laureato in Arti interdisciplinari e performance e successivamente ha abbracciato l’Accademia dell’arte della danza, del teatro, della clownerie.
Arezzo ti ha donato qualche ispirazione per la tua arte?
«Mi ha sicuramente regalato uno spazio per il mio laboratorio nel quale sperimentare i miei linguaggi; non mi era mai capitato di pensare di stare in una città per un lungo periodo finché non sono arrivato qui. In tutti i posti in cui sono stato nel mondo c’è sempre stata una data di termine, ad Arezzo invece sto vivendo senza termine di scadenza.»
Ci racconti dei tuoi lavori esposti ad Arezzo?
«Sulla scia dell’identità culturale della città che abbiamo appena nominato, uno dei miei ultimi lavori riguarda la pietra, per la mostra “Sforzo senza ritorno”, presso Rosy Boa. Sono andato in giro per la città trasportando un blocco di pietra, seguendo un preciso itinerario per due ore e mezza, una volta in galleria ho utilizzato un mazzuolo per distruggerla, fino a renderla polvere.»

Un gesto potente, intenso, sentito. Un atto carico di fatica quello di Pacheco, simbolo e messaggio dello sforzo necessario per costruire qualcosa: un’identità, una città. Miguel ha affrontato ogni metro con determinazione e consapevolezza, come un operaio instancabile. La pietra – cuore del conflitto, materia dura e resistente – è stata poi scalpellata, segnata, persino sgretolata dal pubblico. Un gesto collettivo che ha trasformato l’opera in un’esperienza condivisa, rendendo tutti partecipi del messaggio.
Per Pacheco la performance non è mai un gesto isolato, ma un incontro tra sé stesso e il pubblico, tra luoghi e identità, tra passato e presente.
Parteciperai ad altre mostre in città?
«Replicherò sicuramente alcuni lavori già eseguiti tra Arezzo e provincia, come ad esempio “Prego per 3”, ho avuto inoltre l’opportunità di collaborare con la compagnia teatrale Broken Jump di Michele Guidi e Samuel McGhee per la quale conduco dei workshop.»
Hai in mente un luogo della città in cui ti piacerebbe esporre un tuo lavoro?
«L’ex cartiera di Giovi, un posto suggestivo che mi ispira molto, mi piacerebbe eseguire un lavoro accanto al fiume. È un grande peccato vederla in stato di abbandono. Un altro posto è quello attiguo a Porta San Clemente, mi dà la sensazione quasi di un campo di battaglia.»
Ad Arezzo Pacheco ha trovato il suo approdo e il modo per esprimersi, sempre in movimento, come la sua ricerca artistica che continua a sperimentare.

di CARLO MARTINO
Credits Mara Giammattei

IG: @miguelinsitu

CARLO MARTINO
CARLO MARTINO

Classe 1992, nato a Cori, un paesino che nessuno conosce. Laureato in Storia dell’arte, sono presidente di un’associazione culturale no profit. Nutro una passione nell’origliare i commenti delle persone relativi alle opere d’arte allestite nei musei. Amo i libri, il rock, lo sport, l’improvvisazione teatrale e… il whiskey (se bourbon meglio).

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