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Il punto è che non sopportavo più la radio
Pubblichiamo questo intervento arrivato in redazione sulla musica aretina e dintorni

Non amavo le canzoni che passavano ogni giorno, la sera guardavo in continuazione Pump Up The Volume e sognavo un giorno di passare in qualche frequenza quei pezzi micidiali che Christian Slater trasmetteva a tutto volume. Lui ce l’aveva fatta, aveva trovato un modo per farsi ascoltare direttamente dallo scantinato di casa e soprattutto era riuscito a diffondere voci, parole, urla e rumori incisi nei dischi incarnando così le frustrazioni e i desideri dei giovani “nineties”. Conduceva una doppia vita: timido studente di giorno e scatenato deejay di notte. Volevo diventare come lui ma soprattutto conoscere la musica che trasmetteva perché quei ritmi erano un inno alla rivolta, alla giustizia e probabilmente erano la risposta ad alcuni dei problemi che stavamo affrontando. In un piccolo paesino di provincia non era facile trovare musica di quel tipo ed il passaparola era l’unico modo per poter conoscere più persone possibili che con le loro registrazioni e compilation diventavano la linfa vitale ed il veicolo di trasmissione di certe sonorità. Imparavamo così a conoscere nuove scene, nuove influenze, nuovi ritmi e prendevamo sempre più coscienza del fatto che i nuovi suoni difficilmente giravano in radio: te li dovevi andare a cercare, li dovevi stanare, non ti dovevi accontentare della pappa che ti veniva propinata. Andavo spesso dal mio amico Roberto, lui collezionava fumetti e allo stesso tempo suonava alle feste degli amici.

Quando usiamo il termine “suonare” molti musicisti storcono il naso, si sentono feriti nell’orgoglio… Come può un disc jockey “suonare”? Al massimo seleziona cd o mp3. Se però la discriminante fosse quella di attribuire poca tecnica alla capacità di far succedere due brani con un certo gusto, allora nemmeno una grande quantità di musicisti non professionisti suona: semplicemente impara, tenta, strimpella. Quell’azione del dj quando “mette” musica non è sempre così banale, il background spesso è invece molto solido. Ecco, Roberto suonava e lo sapeva fare perché la sua curiosità lo aveva portato a conoscere quanta più musica possibile. Aveva il giusto gusto, sapeva sempre cosa mettere dopo il disco precedente e non importava se il tempo musicale non fosse lo stesso o se tecnicamente ci fossero delle imperfezioni, ci riusciva ugualmente perché conosceva i suoni, i tempi e le emozioni musicali. Fatto sta che iniziai a collezionare le sue compilation e cercai di capire quale fosse il criterio con cui determinati gruppi venivano selezionati. A cavallo fra il 1995 e il 2000 ho conosciuto molti dj e da ognuno di loro ho cercato di approfondire aspetti legati alla selezione ed al mixaggio capendo che per molti non era così fondamentale la tecnica quanto l’attitudine e la consapevolezza di ciò che riproducevamo. Inizialmente e per comodità, visto che i soldi scarseggiavano, usavamo i cds ma in pochissimo tempo ci avvicinammo ai dischi perché il disco si sa, è un “essere” vivo e anche quando è ricoperto di polvere continua a respirare. Ai concerti dei gruppi punk eravamo pochi e spesso parlavamo di fanzine che proponevano distribuzioni a buon prezzo, iniziai ad acquistare da loro e pian piano a casa arrivarono i primi pacchetti con i 45 e i 33 giri che non vedevo l’ora di ascoltare.

Appena trovato un lavoro stabile ho poi tentato uno degli acquisti più azzardati: un vecchio signore vendeva un lotto di dischi a buon mercato e in poche settimane, concluso l’affare; arrivò un camioncino con un pancale pieno di vinili davanti a casa. In quel periodo vivevo con mia mamma e lei rimase impietrita quando si trovò davanti il corriere che pretendeva la firma sul modulo di consegna. Probabilmente da quel momento iniziai a capire che la passione per i dischi era veramente grande. Andavo quindi alla ricerca di vinili sempre più particolari, non rari, ma con una grande personalità, quei dischi che raccontavano a gran voce una storia: quella del gruppo o quella del luogo da dove provenivano. E’ proprio questo che provo a fare quando mi capita di mettere dischi in giro, il musicista ci emoziona creando suoni, il dj prova a farlo con pezzi esistenti.

È veramente una forma d’arte comunicare con le “parole” di altri, seguire la stessa strada con la canzone giusta e non uscire fuori tema con la traccia sbagliata. La giusta ricerca dei dischi quindi deve essere omogenea, generi diversi ma che rispettino una chiara continuità e che non siano banali ma nemmeno troppo raffinati perché poi peccherebbero di scarsa spontaneità. Occorre mantenere il giusto mood, un crescendo ben calibrato e da non musicista questo era ed è la mia vera ed unica espressione d’amore per la musica.

di MARCO BERTINI

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