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American Dream
Lucia Senesi, giovane regista, sceneggiatrice e scrittrice aretina si è trovata catapultata a Los Angeles dove sta vivendo il suo american dream

Mettiamo che la tua passione sia il cinema, al quale ti dedichi cercando di scrivere e raccontare storie in grado di esprimere il tuo pensiero e la tua visione del mondo e della società. Ipotizziamo che tu riesca a realizzare dei corti e che spostandoti per l’Europa tu riesca a girare “Avanti”, un documentario nel quale leggendo il presente attraverso lo sguardo di Antonio Gramsci parli della crisi di pensiero che sta attraversando il nostro momento storico. Finché un giorno, quasi per gioco, senza la convinzione che possa davvero calare su di te uno sguardo proveniente dall’altro lato dell’oceano, invii il tuo lavoro alla scuola cinematografica di James Franco, l’attore e regista americano che fino a quel momento hai visto solo sullo schermo di un cinema. Immaginati di essere preso in quella scuola: mentre a quella eventualità non stavi più pensando, ti arriva una mail con la quale ti si comunica che il tuo lavoro è piaciuto e che James Franco vorrebbe parlare con te. Fra tre giorni. A Los Angeles. E tu non hai nemmeno il passaporto.
Ecco, adesso immaginati cosa deve aver provato Lucia Senesi, la protagonista di questa storia, che con una lenta carrellata entra finalmente in campo guadagnando il centro dell’inquadratura. Per seguire il suo sogno di fare cinema, la giovane regista, sceneggiatrice e scrittrice aretina si è trovata catapultata a Los Angeles, l’occhio del ciclone, dove sta vivendo il suo american dream. Ma la cosa la fa sorridere perché lei non ha mai amato gli USA, non ha mai subito la loro fascinazione e non crede nel sogno americano: “Non basta andare negli Stati Uniti per cambiare vita, bisogna lavorare e anche parecchio, più degli americani.” Ed è forse anche proprio per questo che i suoi film, critici verso una società ricca di ingiustizia e disparità, riescono ad analizzare con tanta attenzione gli scontri fra classi sociali (scontri che gli americani professano di non avere, non riconoscendo la coscienza di classe), circolando tra festival internazionali e raccogliendo molti apprezzamenti dalla critica d’oltreoceano, più aperta e interessata alle nuove voci.

Videochiamandomi dal soggiorno di casa a Santa Monica, nel West Side, Lucia mi racconta della sua vita in California e dei suoi film americani. Arrivata a Los Angeles, Lucia ha seguito dei seminari di filosofia e critical thinking presso la UCLA, spesso incentrati sul pensiero marxista e con ospiti del calibro di Judith Butler, grazie ai quali ha potuto approfondire il suo ragionamento sulla società e le élite, sviluppando riflessioni sulla working class americana (per lo più messicana quella di LA) sul ruolo del capitalismo oggi, sul “femminismo Disney”, come lo chiama lei, cioè quello proposto da donne perfette all’interno di un mondo mainstream, interrogandosi su cosa sia davvero importante per la società americana (e non solo) fra la realtà e la sua autorappresentazione glam. Da queste riflessioni sono nati due cortometraggi, primi due capitoli di una trilogia ambientata a Los Angeles, nei quali Lucia sviluppa i rapporti di potere fra i tre personaggi femminili di estrazioni sociali differenti e le loro contraddizioni, indagando la complessità delle relazioni umane.
Nel primo corto, “A Short Story” presentato, fra gli altri, in festival come il LA Shorts International Film Festival e l’Hollyshorts, rampe d’accesso per gli Oscar e i BAFTA, fra discussioni di femminismo e movimento #MeToo, il rapporto fra una studentessa e la sua professoressa (nonché padrona di casa, per un’ambientazione alla “Carnage”) viene messo in scacco dall’intervento della domestica messicana, che con la sua intelligenza si prende una piccola rivincita sulla padrona. Nel secondo, “Black Madonna”, quasi spostandosi per tableaux vivants come in Pasolini, Lucia esplora il confine tra follia ed estasi spirituale: una donna nera e incinta preferisce tornare in strada per vivere come senzatetto, piuttosto che passare altro tempo con due donne che l’hanno accolta in casa trattandola come una reincarnazione della Madonna.
Partita da Arezzo, grazie al suo impegno e alla sua bravura, Lucia sta trovando il meritato successo negli Stati Uniti, perciò non ci resta che augurarle il nostro miglior in bocca al lupo, aspettando con impazienza i suoi prossimi lavori.

di STEFANO BENNATI

Stefano Bennati
STEFANO BENNATI

Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose. Appassionato d’arte, letteratura e cinema. Scrivo per lavoro e lavoro per comprare libri. Mi piacciono i calzini colorati.

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